L’uso del grano arso (letteralmente “grano bruciato“) si attribuisce alla tradizione gastronomica pugliese, che nasce come una cucina povera, fatta di tradizione e sapienza, che non smette di conquistare e migliorarsi. Se un tempo era semplicemente l’avanzo della mietitura, oggi la farina di grano arso è un prodotto di nicchia utilizzato nelle cucine stellate (e non) di tutto il mondo, per la sua versatilità e la possibilità di impiego nelle più disparate preparazioni, sia dolci che salate.

Le origini del grano arso

Quella del grano arso è una storia antica, che parla di contadini, di povertà, dei latifondi, permeata dal sole caldo del Tavoliere delle Puglie, un tempo il “granaio d’Italia”.

Originariamente, dopo la mietitura, si usava bruciare le stoppie (gli steli rigidi che rimangono attaccati al terreno dal taglio delle spighe), processo che serviva a distruggere le piante fino alla radice, riducendole in cenere, e a predisporre il terreno alla semina successiva. E tra le stoppie bruciate c’era sempre qualche chicco di frumento rimasto sul terreno (il grano “arso”, appunto), che i ricchi proprietari terrieri concedevano ai contadini il privilegio di raccogliere per uso personale, e che rappresentava per questi ultimi una grande risorsa. I chicchi di grano duro raccolti venivano moliti ricavandone una farina scura color cenere, che non era possibile utilizzare tal quale, per via delle intense note di bruciato, ma mescolandola alla farina “bianca” se ne stemperava il sapore, aumentandone allo stesso tempo anche il volume.

Si tratta quindi di un prodotto nato dalla necessità di non sprecare nemmeno una spiga di grano, il cui utilizzo, con l’estinguersi della civiltà contadina, è progressivamente scomparso, ma recentemente riscoperto.

grano arso

Il grano arso: cos’è cambiato oggi?

Oggi la farina di grano arso è vietata per legge, perché il grano bruciato è stato verificato contenere sostanze potenzialmente cancerogene (come l’acrillamide). Pertanto, onde evitare rischi legati alla salute la versione odierna, nonostante abbia mantenuto il nome, si produce in maniera assai diversa, con una procedura più metodica e sicura. Non si tratta di grano duro propriamente “arso”, ma si produce semplicemente attraverso un sistema per cui i grani vengono sgranati e tostati, dal quale si ottiene una farina che, mescolata a quella “bianca”, dà vita a prodotti unici, grazie soprattutto a quel lieve retrogusto di affumicato e di tostato, che ricorda la nocciola e il caffè.

La “regola” d’uso

Oggi, come allora, si rende necessario mescolare questa farina con un’altra:

  • nella panificazione la farina di grano arso viene miscelata con altre farine ricche in glutine. A causa delle alte temperature cui i grani vengono sottoposti al momento della tostatura infatti, le proteine del glutine si denaturano, rendendo piuttosto difficoltoso il processo di lievitazione.

  • per la preparazione della pasta, invece, il grano arso viene combinato con la semola di grano duro.

Per tutte queste preparazioni la regola solitamente prevede l’utilizzo di un 70% di farina “bianca” e un 30% al massimo di farina di grano arso (in un rapporto di circa 3:1).

Come si utilizza in cucina?

Viste le sue origini, non sorprenderà sapere che viene impiegata per lo più per preparare il pane, i taralli, le focacce, e primi piatti tipici pugliesi come i cavatelli, i cicatelli o le orecchiette (un classico con le cime di rapa). La farina di grano arso si sposa perfettamente con condimenti leggeri e freschi come pomodoro, basilico, e formaggi come il cacioricotta e il caciocavallo.

Il crescente successo di questo prodotto sta facilitando inoltre la nascita di torte, crostate, biscotti e perfino il gelato!

 

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