Nonostante esistano più di 1000 varietà di banane, una sola di queste rappresenta ad oggi il 99% del mercato di export globale di questo frutto: la Cavendish.

La Cavendish è la classica banana che siamo abituati a vedere al supermercato, ma rischia di sparire dagli scaffali a causa di un nemico particolarmente preoccupante: il Trapical Race 4.

Il Tropical Race 4 (TR4) è un fungo che, dal suolo, è in grado di entrare nelle radici dei banani e bloccarne il sistema vascolare, impedendo alla pianta di assorbire acqua e nutrienti, e quindi ucciderla.

Dal 1989, quando venne analizzato il primo campione, il TR4 si è propagato in tutto il mondo a un ritmo allarmante. In particolare, nell’agosto 2019 è stato scoperto in quattro piantagioni in Colombia, terzo esportatore del mondo e un pilastro dell’industria globale delle banane. Quando il governo colombiano ha annunciato la rilevazione del fungo nel suolo, infatti, ha dichiarato lo stato di emergenza nazionale.

La storia si ripete

Questa, tuttavia, non è una storia nuova nell’industria di questo frutto. Prima che le Cavendish arrivassero a dominare il mercato, erano le Gros Michel le banane scelte dagli europei e dagli americani. Queste erano più cremose, dolci e saporite di quelle che le hanno succedute, ma erano a loro volta suscettibili a un diverso ceppo dello stesso fungo, il Tropical Race 1 (TR1).

Dopo che fu scoperto in America Latina, il TR1 si diffuse nelle piantagioni costringendo i produttori a ripiegare sulla loro banana “di riserva”. Di conseguenza anche i più grandi esportatori – le attuali Chiquita e Dole – passarono alle Cavendish e negli anni ’50 le Gros Michel sparirono dai supermercati occidentali.

La scienza può salvare le banane?

Ora gli scienziati ed alcune start-up stanno facendo a gara per salvare le Cavendish dalla stessa sorte.

Nel 2004 James Dale, un professore della Queensland University of Technology in Australia, ha isolato un gene da una cugina selvatica – non commestibile – della Cavendish che la rende resistente al TR4. Dale ha inserito questo gene nella Cavendish, creando quindi una banana immune alla malattia.

Dal momento che contiene materiale genetico da due organismi diversi essa è classificata come OGM (Organismo Geneticamente Modificato), il che le rende difficilmente accettate dai consumatori, specialmente in Europa.

Una start-up inglese, la Tropic Biosciences, sta cercando di aggirare il problema usando una nuova tecnica di modificazione dei geni (la CRISPR), che non utilizza geni di altri organismi. In parole semplici, quello che fanno è sopprimere l’attività dei geni della Cavendish che la rendono suscettibile al fungo.

Anche James Dale sta ora usando la CRISPR, ma con un metodo diverso. Il suo piano è attivare un gene dormiente nelle banane Cavendish che conferirebbe la resistenza al TR4 – lo stesso gene che prese dalla specie selvatica per la varietà GM (Geneticamente Modificata).

L’Europa frena la ricerca

Negli Stati Uniti questo approccio è visto dal Dipartimento di Agricoltura in modo molto diverso dai prodotti GM. L’Unione Europea, invece, non riconosce un’effettiva differenza tra la banana transgenica e quella modificata tramite CRISPR, che quindi ricade sotto gli stessi regolamenti che limitano la coltivazione e la vendita di OGM. Queste misure, però, rischiano di frenare la ricerca e portare alla scomparsa di questo frutto.

A noi occidentali sicuramente dispiacerebbe, ma potremmo senza troppe difficoltà scegliere un prodotto diverso dagli scaffali del supermercato. A subirne le conseguenze peggiori sarebbero invece le aree del mondo in cui le banane sono un alimento di base e una fonte di reddito.

Che si tratti di abitudini alimentari o di sussistenza, sostenere la ricerca scientifica (superando la diffidenza verso l’ingegneria genetica), permetterebbe a tutti di non dover rinunciare a uno dei frutti più consumati al mondo.

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